"Teresa, vieni via da lì, è pronto". Secondo piano, palazzina gialla, numero 43, persiane verdi, pittore non pagato e causa condominiale in corso.

Fa caldo, anche fra le treccine bionde di Teresa, che si scotterà se non toglierà la fronte dal vetro della finestra. Sono le due del pomeriggio, ormai è lì da quattro ore. Fissa, sorridente, immobile. "Arrivo, arrivo!". Da un'ora risponde così alla madre, mora, abbronzata più di lei, in forma, giovane, sposata, tradita, traditrice. Storie che portano l'attenzione troppo in là. I suoi orecchini d'oro non interessano all'uomo che sale le scale per andare a pranzo.
Nemmeno a quello che sta in strada. Corre questo qui, senza una moglie a rincorrerlo. Pantaloncini neri, maglietta di cotone verde, un senso estetico da terzo mondo, anche i capelli un po' sparati all'insù, da addormentato. Biondi e spettinati. Occhio, ovvio, azzurro. Carnagione, senza dubbio, pallida. Un brufolo su
lla guancia sinistra per fare il vezzo fuoriposto, un naso leggermente schiacciato e una respirazione difficile, sincopata, fuori tempo. Non da corridore. Figurati da maratoneta.
Lui va, continua, nonostante ormai la gente ai bordi della strada se ne sia andata tutta, e passi soltanto qualche vecchietta per fare acquisti nel supermarket. Qualcuno in bicicletta lo supera e gli urla "basta, ritirati"! Bravi, bravi tutti a pedalare. Per 100 metri poi, da casa al bar dove prendere il bianco. Certo un percorso da campioni, il vostro. Non come il mio. Io so dove sto andando, quanta fatica devo fare. Io vado, e tu? Oppure è meglio che mi fermo? Ma si tanto sono ultimo. Un bianco ce lo beviamo in compagnia?
Il biondino ha il 43 sul petto. Sudato, stropicciato, sporco di vomito. Ma non è ancora dentro ad un cestino. E' lì, sul petto. Resiste e applaude il suo portatore, ogni tanto, con la complicità del vento. Lo incita, lo aiuta. Insieme a lui pochi altri, ancora convinti che ci sia un'armata di atleti di là da venire. Un po' giudei, che aspettano di vedere il messia: appassionati che aspettano il gruppone, scambiando i cento già passati per una piccola fuga di montagna. Quando arriva il biondino, il suo 43, capiscono. Da lontano si girano, nemmeno lo aspettano. Vanno via. Ma il biondino non vede. Non sente i fan, anche i suoi fan, dire "bon, l'è finita; a pranzo".
Qualcuno ci prova ancora a incitare. Ma non gli interessa. Così è da solo, il biondino. E si distrae. Una finestra semiaperta. Secondo piano. Palazzina gialla. Guarda caso, numero 43. Le persiane sarebbero da buttar via. C'è una ragazzina, appoggiata al vetro. Occhi verdi, treccine rasta, abbronzatura fresca; anche se è sudore il biondino sente il sale del mare sulle labbra.
Distrazione, capita. Inciampa su una bottiglia di energizzante e la spara lontano. Capita, inciampi. A lui spesso, ma anche ai migliori. Un flash gli fa tornare in mente quel colpo secco di Lewis in faccia a Tyson, quarto round al Madison Garden, giugno 2002: primo pugno a far tremare Iron Mike di paura. Lui sarebbe morto. L'altro ha inciampato sul suo piede. Tutti e due però hanno mostrato il viso, senza difesa. Una faccia da perdente. Da ultimo. "Merda"! Ma non capisce. Lei non ha parlato. Anzi sorride, si è alzata di scatto. "Sei una merda!" Adesso si. Compreso in pieno, in toto, ma ancora non viene dall'alto. Ma dal basso. E allora giù con la testa. Livello marciapiede, acqua per terra, numeri persi in giro per la strada, volantini pubblicitari, porte scorrevoli di supermarket che si aprono e si chiudono, quattro persone intorno, laureandi, sottomedia, di certo un alloro falso. Le bottiglie di spumante sono vere. Il getto di schiuma alcolica anche. Lo scarto di lato pure. Un'azione da atleta vero, mica balle. Un diretto sul muso. Una caduta teatrale. Fuga di gruppo con urla e bestemmie. Insomma, un'azione da ciclismo d'annata, non fosse per la direzione sbagliata.
Teresa è già di sotto, due piani volati via nemmeno avesse avuto il teletrasporto. Spunta dalla porta proprio quando il biondino lancia il suo destro. Urla. Non lo aspettava così. Il biondino guarda la fuga, poi si gira e guarda in alto, cerca le grida e spera siano dalla finestra, ma ora c'è una donna mora, bella, porta due orecchini ammalianti. E le grida continuano, abbassa lo sguardo, di fianco alle porte scorrevoli, una di legno con pomolo d'ottone. Anche questa da buttare, ma semiaperta; lei è lì. E sta urlando per lui: "Dai, avanti! Muoviti! Sei l'ultimo, ma gli altri non sono lontani!" Lei sa che non è vero, lui no. Per questo sorride. Per una bugia che funziona, a fin di bene. Vedrà alla fine il gruppo tagliare il traguardo prima di lui, fra cinque chilometri. Ma lo vedrà, il penultimo, girata la curva, smettere di correre. Non si fermerà. Con il suo 43 che continuerà ad applaudirlo, soltanto grazie al vento.
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